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Nutraceutici per l’artrosi: una revisione critica

Il numero di dicembre 2005 di “Critical Reviews in Food Science and Nutrition” pubblica una revisione critica sui nutraceutici per l’artrosi. Tra gli Autori, il “Connective Tissue Research Group” della Facoltà di Medicina Veterinaria di Liverpool che, assieme a ricercatori tedeschi ed americani, traccia uno stato dell’arte di questo settore terapeutico in piena espansione, sottolineandone gli indubbi vantaggi, i punti di debolezza e le prospettive future.
Nutraceutici per l’artrosi: una revisione critica

“I nutraceutici – quelle sostanze presenti in numerose fonti alimentari che, se somministrate per via orale, stimolano le potenzialità di riparazione e recupero di un’articolazione artrosica – fanno ormai parte del panel di interventi per le degenerazioni articolari…Le evidenze cliniche, ancorchè non sistematizzate, depongono a favore di un loro effetto benefico e se ne consiglia l’utilizzo, eventualmente in associazione ai FANS.”
Così gli ortopedici di Liverpool introducono la loro review sui “nutraceutici per l’artrosi”, per poi entrare nel dettaglio delle sostanze che hanno finora riscosso maggiori risultati clinici. Condroitin solfato e glucosamina, innanzitutto. “È ormai ragguardevole – si legge – il numero di evidenze pubblicate sull’utilizzo combinato di queste due sostanze a primaria azione condroprotettiva nell’artrosi, sia del cane che del cavallo.”
A seguire, una dettagliata lista di composti che, oltre ad aminoacidi, acidi grassi e micronutrienti, si sofferma sui polifenoli (quercetina, per intenderci), “le cui documentate proprietà antiossidanti, antinfiammatorie ed antidegenerative…possono avere una valenza tanto preventiva (ridurre i livelli di radicali liberi, potenziali distruttori del tessuto cartilagineo) che dichiaratamente terapeutica.”
Attenzione, comunque, al sapiente utilizzo dei nutraceutici. Gli Autori caldeggiano una combinazione di misure conservative “disease-oriented” che, oltre alla supplementazione nutraceutica, contempla interventi stimolanti la riparazione (es. citochine pro-anaboliche) o, altresì, inibenti la degradazione (es. inibitori delle metalloproteasi).
Ed attenzione anche al tipo di nutraceutico che si intende utilizzare. “Non abbiamo ancora a disposizione – scrive il “Connective Tissue Research Group” – studi clinici su vasta scala…Pertanto è fondamentale essere critici nella scelta del nutraceutico, valutarne la fonte di provenienza, gli studi che ne comprovano il meccanismo d’azione, la sua sicurezza d’impiego.”