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Artrosi in pratica

Vuoi mettere in pratica le conoscenze teoriche sull’artrosi, al fine di gestire al meglio una malattia così complessa ed invalidante? Segui il “piano Carmichael”, così come viene tracciato in un articolo pubblicato sul numero di aprile 2006 di “The European Journal of Companion Animal Practice” (EJCAP), rivista ufficiale della FECAVA (Federation of the European Companion Animal Veterinary Association). Gli strumenti considerati da Carmichael? Nutraceutici condroprotettori, controllo del peso e dell’esercizio fisico, fisioterapia e farmaci sintomatici, utilizzati in opportuna combinazione a seconda del tipo di paziente e della gravità della sua artrosi.
Artrosi in pratica

Riconoscere il problema “artrosi”. Stuart Carmichael, noto ortopedico dell’Università di Glasgow, parte da questa constatazione per dettare le linee guida di practice management di questa malattia. “Un problema prima di tutto clinico – scrive su EJCAP – stante la costellazione di sintomi altamente invalidanti, la tendenza alla cronicizzazione e l’alternanza di periodi clinicamente silenti e di altri, cosiddetti “attivi”, contraddistinti dal riacutizzarsi dei segni di sofferenza articolare.”
Che fare, dunque, per controllare al meglio questa situazione? Carmichael illustra una combinazione di approcci medici, farmacologici e non, indirizzati a cinque specifiche aree di intervento: analgesia, controllo del peso, monitoraggio delle complicanze, azione sui meccanismi artritogeni ed, infine, controllo dell’attività fisica. “Ognuna di queste aree – spiega Carmichael – deve essere trattata con approcci specifici…Per esempio, se l’analgesia si ottiene con FANS a dosaggi controllati, sui meccanismi di artrosi vale l’utilizzo di nutraceutici che, opportunamente combinati con misure non farmacologiche e sintomatiche, si sono dimostrati efficaci nel contrastare meccanismi patogenetici chiave come la condrodegenerazione e l’infiammazione sinoviale, potenziando, nel contempo, le capacità di recupero dell’articolazione artrosica.”
Pare, dunque, non ci sia più alcun dubbio sul definitivo tramonto della “one shot” terapia per l’artrosi: quel trattamento, cioè, che partiva dal presupposto di poter sconfiggere la malattia solo contrastandone i sintomi (es. dolore), ma non intervenendo minimamente su cause e meccanismi. “Le attuali evidenze – sottolinea più volte Carmichael nell’articolo – non portano altro che verso un approccio mutlimodale il più possibile adattantesi alle fattezze della malattia da contrastare…”. In altre parole, un approccio che – sapientemente combinato con le altre misure mediche e chirurgiche oggi disponibili – ha straordinarie potenzialità anti-artrosiche: in termini di riequilibrio biochimico e metabolico dell’articolazione malata, ma anche di controllo a lungo termine dei suoi invalidanti sintomi.