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Considerare il gatto geriatrico

Al 55° congresso nazionale SCIVAC (Milano, 2-4 marzo 2007), si è parlato di “gatto geriatrico”, dei più frequenti disordini organici che lo interessano, e della “sindrome della disfunzione cognitiva” (CDS), che lo affligge quando la neurodegenerazione senile acquista significato patologico.
Considerare il gatto geriatrico

“I gatti da compagnia anziani sono più che mai numerosi…In Europa, l’età media dei felini è aumentata da 4,7 a 5,3 anni, e nel Regno Unito si stima che vi siano oggi circa un milione e mezzo di “gatti vecchi”.
Danielle Gunn-Moore (Università di Edinburgo) ha cominciato la sua “invited lecture” al congresso SCIVAC “dando i numeri”. Numeri significativi che non lasciano dubbi circa l’importanza epidemiologica dell’animale anziano nel settore della medicina felina. “In età geriatrica – ha ribadito la specialista – il gatto ha bisogno di attenzioni e cure particolari che siano in grado di sostenerlo al meglio anche durante la terza età…Attenzioni e cure per le modifiche “minori” del suo organismo: dal declino generale delle condizioni del mantello, all’attenuazione di vista ed udito, alla maggior propensione allo stress ambientale…Ma attenzioni e cure soprattutto alle condizioni francamente patologiche del gatto anziano: dalle alterazioni immunitarie che lo predispongono ad infezioni recidivanti, all’insufficienza renale cronica, all’artrosi. Fino a considerare quelle modifiche patologiche del suo cervello, che lo predispongono a gravi disturbi comportamentali e cognitivi. “Recenti indagini – ha puntualizzato la Gunn-Moore – suggeriscono che il 28% dei gatti da compagnia di età compresa tra 11 e 14 anni sviluppa almeno un problema comportamentale ad insorgenza geriatrica, e che questa percentuale sale oltre il 50% per quelli di età pari o superiore a 15 anni.” Responsabile di questi problemi è la CDS. Quella “sindrome della disfunzione cognitiva”, legata ad una patologica neurodegenerazione senile e che esita in un incredibile ventaglio di segni clinici comportamentali: dalla modificazione dei cicli sonno-veglia, alle alterazioni eliminatorie, alla tendenza a vagabondare o ad emettere vocalizzazioni inappropriate. “Tutto ciò – spiega la Gunn-Moore – è connesso alle modifiche neurodegenerative del cervello, siano esse di natura strutturale, neurotrasmettitoriale o metabolica.” Un cervello, quello del gatto anziano, che deve dunque essere oggetto di cure appropriate: “cercare di ridurre lo stress – consiglia la studiosa – ma anche di ripristinare la funzionalità neuronale e di implementare l’apporto di antiossidanti, con cui controllare l’eccesso di radicali liberi che l’invecchiamento cerebrale si porta inevitabilmente appresso.”