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CDS: anche il gatto ne soffre

Nella giornata che il 10° congresso europeo di Medicina Comportamentale per animali da compagnia - organizzato da ESVCE (European Society of Veterinary Clinical Ethology) e SISCA a Cremona, dal 22 al 24 ottobre 2004 – ha dedicato a “Comprendere le alterazioni emozionali negli animali da compagnia”, Maria Cristina Osella ha parlato di “cognitive dysfunction sindrome” (CDS) nel gatto: quella “sindrome da disfunzione cognitiva”, derivante dal complesso di alterazioni neurodegenerative che possono comparire con l’avanzare dell’età… Anche nella specie felina!
CDS: anche il gatto ne soffre

Di CDS nel gatto se ne era già parlato nel 2003, quando Kelly Moffat e Gary Landsberg avevano presentato al 140mo meeting annuale dell’AVMA (American Veterinary Medical Association) i dati di prevalenza dei segni clinici associati alla disfunzione cognitiva senile in una popolazione campione di 154 gatti di età superiore agli 11 anni.
A confermare l’indagine d’oltreoceano arrivano ora gli studi della nota comportamentalista italiana Maria Cristina Osella, autrice – assieme a Paola Badino e Luciana Bergamasco – di un’interessante relazione sulla CDS nel gatto, vista da un punto di vista diagnostico e terapeutico. “Sì, la CDS esiste anche nel gatto…” ha affermato la Osella. “Probabilmente – ha proseguito – il suo riconoscimento tardivo deriva dal fatto che solo recentemente il gatto viene considerato “soggetto geriatrico”, portatore, cioè, di tutte quelle alterazioni neurodegenerative senili, che possono sfociare nei deficit cognitivi, emozionali e comportamentali, tipici della CDS.”
Puntigliosa raccolta anamnestica, esame fisico completo, accertamenti diagnostici volti ad escludere la presenza di eventuali cause organiche, accurate interviste al proprietario. Sono questi i cardini diagnostici che la Osella ha magistralmente delineato: tutti strumenti da utilizzare per riconoscere tempestivamente i segni di “invecchiamento patologico” e, conseguentemente, intervenire fin dalle fasi iniziali di neurodegenerazione. Sotto il profilo prettamente comportamentale, la relatrice ha dato ampio spazio ai sintomi di demenza felina: dal disorientamento, ai cambiamenti nell’interazione sociale e a livello ambientale, ai disturbi di tipo eliminatorio.
Il piano di trattamento, infine. La Osella ne ha descritto i cardini fondamentali, tra cui le modificazioni ambientali (es. arricchimento ambientale), l’applicazione di tecniche di modificazione del comportamento basate sui principi dell’apprendimento, l’intervento farmacologico classico e quello nutraceutico, in particolare a base di sostanze a spiccata attività neuroprotettiva, come fosfatidilserina e Ginkgo biloba.
Abstract congressuale disponibile su richiesta a cedis@innovet.it