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Invecchiamento cerebrale: uomo ed animale a confronto

“Paragone tra diagnosi e trattamento dei disordini comportamentali nell’uomo e negli animali da compagnia: cosa possiamo reciprocamente imparare?” Così si intitola l’originale conferenza organizzata congiuntamente dalla CABTSG (Companion Animal Behaviour Therapy Study Group) e dalla BAP (British Association for Psychopharmacology) a Herts (Gran Bretagna) il 2 marzo scorso, con uno scopo alquanto accattivante: confrontare la demenza senile dell’uomo con quella del cane e del gatto, ricavarne informazioni sempre più complete e migliorarne diagnosi e trattamento.
Invecchiamento cerebrale: uomo ed animale a confronto

Dopo una prima sessione dedicata ai disturbi su base ansiosa, il seminario congiunto CABTSG-BAP si è concentrato sui disordini cognitivi correlati all’invecchiamento cerebrale e ne ha analizzato le caratteristiche salienti sia nell’uomo che nell’animale da compagnia. “La demenza senile – scrive John O’Brien del “Brain Ageing and Dementia Group” di Newcastle – è un grave problema che affligge più del 5% dei soggetti di età compresa tra 65 ed 80 anni e che si accompagna a sintomi altamente invalidanti, dai deficit mnemonici, alla disfasia, alla depressione, all’agitazione psicomotoria…Una malattia che si presenta sotto diverse spoglie cliniche, tra cui il classico morbo di Alzheimer, la demenza su base vascolare o quella degenerativa a carico dei lobi frontali e temporali…”. “Anche nel cane e nel gatto – prosegue la comportamentalista animale Petra Mertens (Minnesota, USA) – la sindrome della disfunzione cognitiva (cognitive dysfunction sindrome, CDS) è una condizione da non sottovalutare, visto l’allungamento della vita media dei pet e la conseguente comparsa di disturbi che l’invecchiamento causa in svariati apparati, cervello in primis.” La Mertens passa, poi, in rassegna le quattro categorie fondamentali di disturbi cognitivi età-correlati (disorientamento, alterate interazioni sociali, perdita dei comportamenti appresi e variazioni del ciclo sonno-veglia) e ne indaga le sottostanti alterazioni neurodegenerative. “Il cervello dell’animale anziano perde neuroni, aumenta la dimensione degli spazi interventricolari, ispessisce le sue meningi, si infarcisce di placche di beta-amiloide e di neurofibrille…
Insomma, va incontro ad una serie di modifiche pressoché sovrapponibili a quelle che contraddistinguono il cervello di un uomo affetto dalla malattia di Alzheimer.”
E i rimedi? Sia per l’uomo che per cani e gatti, i due studiosi prospettano una terapia di combinazione, basata, cioè, sull’utilizzo di interventi farmacologici, sapientemente abbinati a terapie comportamentali, modifiche dietetiche e dell’ambiente di vita, nonchè ad approcci nutraceutici di natura antiossidante.
Atti disponibili su richiesta a cedis@innovet.it