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Beta-amiloide e neurodegenerazione nel cane

Una “task force” di psicologi, neurofisiologi e specialisti in neuro-imaging canadesi ed americani firma il primo studio “in vivo” sulle alterazioni cui il cervello del cane va incontro con l’età. A soffrire assai precocemente di neurodegenerazione senile è il lobo frontale, che non solo si atrofizza e diminuisce di volume, ma è anche sede preferenziale di depositi di beta-amiloide (foto). Le conseguenze? Una drastica diminuzione delle capacità cognitive e mnemoniche dei “senior dogs”.
Beta-amiloide e neurodegenerazione nel cane

I Dipartimenti di Psicologia e Scienze Mediche dell’Università di Toronto e l’”Institute for brain aging and dementia” di Irvine (California) sono i Centri maggiori coinvolti in questa ricerca sull’invecchiamento cerebrale nel cane. “Abbiamo sottoposto – scrivono i ricercatori nell’articolo pubblicato sul numero di settembre 2004 del Journal of Neuroscience – 66 beagles, di età compresa tra 3 mesi e 15 anni, a risonanza magnetica, al fine di individuarne le principali modifiche cerebrali correlabili al fattore età.”
Questi i risultati ottenuti:
– a partire dai dodici anni, il cervello è globalmente diminuito di volume rispetto a quello dei soggetti più giovani, ma già a partire dagli otto anni d’età, si nota un’evidente atrofia del lobo frontale;
– contestualmente al precoce decremento volumetrico, il lobo frontale è sede di un’estesa deposizione di proteina beta-amiloide, caratteristica alterazione neurodegenerativa età-dipendente;
– esiste una correlazione diretta tra atrofia cerebrale a livello frontale e riduzione della capacità di apprendimento e della performance mnemonico-cognitiva dei cani anziani. E ciò, anche a causa di concomitanti alterazioni rilevate a livello di ippocampo, regione cerebrale notoriamente coinvolta nei meccanismi centrali della memoria e dell’apprendimento.
“Come nell’uomo – concludono i ricercatori – anche nel cane i lobi frontali si sono dimostrati particolarmente sensibili all’invecchiamento e le evidenze neuroanatomiche e neurofisiologiche emerse da questo studio ne rappresentano la riprova diretta.”