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Clinica versus preclinica: la “nuova” obesità

Malattia o fattore di rischio? Un team di esperti internazionali ha sviluppato delle linee guida cliniche volte a ottimizzare la diagnosi e il trattamento dell'obesità.
Clinica versus preclinica: la “nuova” obesità

L’idea di obesità come “presagio” di malattie secondarie potrebbe non essere più sufficiente per contrastare questa “epidemia silenziosa” che non si arresta e, anzi, arriva oggi a colpire oltre un miliardo di persone nel mondo. Nonostante non vi siano dubbi che l’eccesso di adiposità eserciti effetti diretti e negativi sul funzionamento di svariati organi, si tende a percepire l’obesità come una vera e propria patologia soltanto nelle fasi ormai avanzate.

 

Che sia giunto il momento di aggiornare l’approccio clinico all’obesità? Una commissione di 58 esperti mondiali, con il supporto di oltre 75 associazioni mediche, ne è fermamente convinta: alcuni parametri tradizionalmente esaminati, come ad esempio il “vecchio” concetto di indice di massa corporea (BMI), possono portare a diagnosi tardive se non errate. Ed è così che, dopo due anni e mezzo di incontri e di minuziosa revisione della letteratura, la Commissione ha pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology il testo di riferimento per una moderna definizione ed una accurata diagnosi di obesità.

 

Per questo consenso, la Commissione ha fissato 18 criteri diagnostici per l’obesità clinica negli adulti e 13 per bambini e adolescenti, come ad esempio dispnea, insufficienza cardiaca e dolore articolare. Inoltre, è stato introdotto il nuovo e rivoluzionario concetto di obesità preclinica: se l’obesità clinica si configura come una condizione in cui un danno per la salute si è già materializzato e può essere oggettivamente documentato, l’obesità preclinica è invece caratterizzata da funzionalità di organi e tessuti preservata, ma comunque accompagnata da un rischio aumentato di progressione verso l’obesità clinica o altre malattie non trasmissibili.

 

Una distinzione che ambisce ad agevolare il processo decisionale clinico, nonché le politiche di sanità pubblica, definendo una priorità degli interventi terapeutici. Ciò consentirebbe agli obesi clinici un accesso tempestivo ai trattamenti, in modo da migliorare la sintomatologia e prevenire la progressione verso il danno d’organo terminale, e agli obesi preclinici il coinvolgimento in piani personalizzati di monitoraggio e di riduzione dei rischi nel tempo.

 

Gli autori concludono ricordando come i pregiudizi e lo stigma basati sul peso hanno sempre rappresentato ostacoli importanti contro il successo della prevenzione e della cura dell’obesità, ragion per cui gli operatori sanitari dovrebbero ricevere un’adeguata formazione su come affrontare proattivamente e con la giusta empatia anche l’aspetto più emotivo di questa patologia.

 

Le somiglianze nelle cause biologiche e ambientali dell’obesità fra umani e animali offrono interessanti opportunità per collaborazioni di ricerca interdisciplinari nell’ottica “One Health, e questo documento potrebbe avere risonanza anche in ambito veterinario, vista la sempre crescente diffusione dell’obesità nei cani e nei gatti domestici. Un affinamento dei metodi di classificazione dell’obesità, infatti, aiuterebbe a sensibilizzare al tema sia i proprietari i che Veterinari, invertendo la preoccupante tendenza alla sottodiagnosi e migliorando le strategie di prevenzione.

 

Rubino, F., Cummings, D. E., Eckel, R. H., Cohen, R. V., Wilding, J. P., Brown, W. A., … & Mingrone, G. (2025). Definition and diagnostic criteria of clinical obesity. The Lancet Diabetes & Endocrinology.